Solo tre studenti su 10 si laureano in corso. E i burocrati si costernano…
La percentuale dei laureati in corso, dal 2007, è diminuita del 4,5% rispetto all’anno prima, passando dal 34,8% al 30,3%, proseguendo un trend in atto da alcuni anni. Una triennale oggi dura mediamente 4,4 anni -il dato precedente era 4,2. Questo è il verdetto del Rapporto sullo stato del sistema universitario del Cnvsu (Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario), organo istituzionale del Ministero dell’Università e della Ricerca.
Registriamo la solita carrellata di dichiarazioni eccellenti. Si costerna ai taccuini del Corsera Andrea Cammelli, docente della Facoltà di Statistica dell’ateneo bolognese e direttore di AlmaLaurea (consorzio interuniversitario di schedatura di massa dei laureati): "Si tratta di una maledizione strutturale, all’estero non sanno nemmeno cosa sia lo studente fuori corso, non esistono parole inglesi ad esempio per tradurre il concetto". Aggiunge Cammelli: "I risultati post riforma sono di gran lunga migliori alla ituazione precedente, ciò che desta preoccupazione è che man mano che passa il tempo il fenomeno dei fuori corso possa ricominciare ad aumentare". Alla perplessità del nostrano barone di Statistica si aggiunge, sempre sul quotidiano meneghino, l’acume del sottosegretario uscente del MIUR Luciano Modica, che nota: "Spesso sono studenti lavoratori che proprio per questo motivo non fanno in tempo a completare il ciclo di studi con regolarità".
Non sfiorerà costoro il dubbio di cercare le ragioni di questa maledizione strutturale in dispositivi di precarizzazione interna ed esterna al sistema universitario tali da rendere la vita difficilissima a chi non possa appoggiarsi su solide finanze familiari? Che essere studente lavoratore spesso non è una bizzarria da cinquantenne in vena di seconda o terza laurea ma una condizione diffusa anche tra ventenni freschi di maturità, costretti a dedicare parti consistenti della propria giornata al lavoro per poter sostenere i costi delle tasse, dei libri, dell’abitare, per sostenere una vita che da cara nelle sedi universitarie diventa carissima? Che la stessa esistenza di ampissime fasce di studenti lavoratori dimostra gli istituti preposti a tutela del diritto allo studio non svolgono che in misura minima il loro compito? E che, infine, l’ordinamento riformato in vigore nelle università italiane, che ha introdotto la divisione nei due cicli del 3+2 proprio per ridurre le lauree fuoricorso ne sia, insieme all’estrema frammentazione della didattica causata dal sistema dei crediti, una delle prime cause di incremento?